Da tempo, diversi siti internet fanno un bizzarro accostamento tra il più grande drammaturgo di tutti i tempi, William Shakespeare, e l’attrice americana Anne Hathaway, interprete di numerosi film di successo come Il diavolo veste Prada e Interstellar.
A dare lo spunto è stato un post su twitter del 2008, ripreso poi dal magazine online Insider. L’autrice del tweet, faceva notare come l’attuale marito della Hathaway, l’attore newyorchese Adam Shulman, somigli incredibilmente a Shakespeare.
A rendere più interessante la coincidenza c’è il fatto che anche la moglie di William Shakespeare si chiamava Anne Hathaway, e alcuni blogger e giornalisti sono arrivati a sostenere scherzosamente che l’attrice americana e suo marito siano viaggiatori del tempo.
Poiché chiunque dotato di senno sa che ciò non può essere vero, potremo ipotizzare che i due siano discendenti della coppia inglese. Ma né Adam Shulman né la Hathaway hanno la benché minima parentela con Shakespeare o con sua moglie.
Allora quale potrebbe essere la spiegazione? Una coincidenza, certo, ma anche il fatto che se guardiamo alla storia dei ritratti di Shakespeare, comprendiamo quanto sia facile cadere in errore.
Il ritratto di Chandos
Nel 1839, il duca di Buckingham e Chandos, ereditò una delle più grandi fortune d’Inghilterra. Incredibile a dirsi, ma riuscì a perdere tutto in poco meno di dieci anni. Indebitato fino al collo a causa di una serie di investimenti sbagliati, nel 1848 fuggì in Francia lasciando ai creditori la sua residenza e tutto quanto conteneva.
La proprietà venne messa all’asta: arredamenti di pregio, vasellame prezioso, opere d’arte. Tra gli oggetti che destarono meno attenzione c’era un dipinto ovale, alto cinquantasei centimetri e largo quarantasei. Ritraeva un uomo vestito di nero, con l’orecchino, gli occhi leggermente sporgenti e lo sguardo sornione di chi ha l’aria di saperla lunga.
Fino ad allora, nessuno sapeva chi fosse, ma oggi riteniamo – con una certa plausibilità – che quello sia il volto di William Shakespeare. L’opera fu sicuramente realizzata quando il poeta era in vita, tuttavia nessun documento è in grado di attestare che il soggetto ritratto sia effettivamente William Shakespeare.
L’incisione di Droeshout
Tra le raffigurazioni di Shakespeare ritenute più affidabili dagli storici dell’arte troviamo l’incisione presente sul frontespizio del First Folio, la prima edizione in-folio delle opere complete del drammaturgo inglese. Il ritratto fu realizzato nel 1623 da Martin Droeshout, figlio di una famiglia di incisori olandesi immigrati in Inghilterra. Di tutti loro, Martin è considerato forse il meno talentuoso. Nella sua illustrazione i lineamenti del poeta sono disarmonici e sproporzionati. Alcuni ritengono sia una caratteristica stilistica dell’incisore, secondo altri Droeshout fu scelto perché era un artigiano economico, piuttosto che per le sue doti artistiche.
Il ritratto di Droeshout viene considerato verosimile perché accompagnato da un encomio poetico di Ben Johnson, il quale conobbe personalmente Shakespeare. Tuttavia, nei suoi versi, il poeta decanta la raffinatezza artistica dell’incisione e questo fa sospettare che non l’avesse mai vista.
Ad ogni modo, il First Folio fu pubblicato soltanto sette anni dopo la morte di Shakeaspeare, quindi l’incisione di Droeshout non fu realizzata dal vero.
Il busto funerario di Jannsen
Un’altra opera a cui si fa spesso riferimento per ricostruire il vero aspetto di Shakespeare, è il busto posto sulla tomba del poeta, nella chiesa della Santissima Trinità a Stratford-Upon-Avon. Realizzato a grandezza naturale, costituisce il pezzo centrale del monumento e fu scolpita dall’artista Gheeraert Janssen. La scultura condivide con l’incisione di Droeshout due caratteristiche: si tratta di un’opera mediocre e fu eseguita anch’essa sette anni dopo la morte del poeta. Il laboratorio di Jannsen, però, si trovava nei pressi del Globe Theatre, il teatro costruito dalla compagnia di Shakespeare, e i due si erano probabilmente conosciuti di persona.
Nel caso dell’opera di Jannsen, però, non abbiamo idea di quale aspetto avesse la scultura originale. Nel 1749 il monumento fu restaurato. Non sappiamo con quanta perizia fosse stato eseguito il lavoro perché ventiquattro anni dopo, lo studioso shakespeariano Edmond Malome, in visita alla chiesa, insistette perché il busto fosse imbiancato, convinto che i colori fossero stati applicati durante il restauro.
L’opera, invece, era stata dipinta già da Jannsen che per sopperire alle sue scarse doti di scultore aveva utilizzato colori e pennello per rendere i dettagli delle fattezze di Shakespeare. Per molti anni, dopo l’intervento di Malome, il busto sulla tomba di Shakespeare ebbe l’aspetto amorfo della testa di un manichino. In seguito l’opera fu ridipinta cercando di ricostruirne l’aspetto originale in base ai colori apparsi rimuovendo lo strato di vernice bianca. Ma quanto di ciò che vediamo oggi è conforme all’opera originale e quanto è il frutto della fantasia del restauratore?
Il ritratto di Cobbe
L’ultimo arrivato tra le presunte raffigurazioni di Shakespeare è il ritratto di Cobbe. Non abbiamo saputo della sua esistenza fino al 2006, quando l’opera fu identificata da alcuni studiosi all’interno della collezione della famiglia anglo-irlandese Cobbe. Seppure fosse in loro possesso da generazioni, nessuno aveva mai ipotizzato che il soggetto dell’opera potesse essere William Shakespeare. Se così fosse, sarebbe il secondo ritratto di Shakespeare dipinto dal vero ad essere in nostro possesso, insieme al Ritratto di Chandos.
L’identificazione del soggetto dipinto fu supportata da diverse prove, tra cui la somiglianza con l’incisione di Droeshout e la citazione di un’ode di Orazio, presente nel dipinto e dedicata a un drammaturgo. Tuttavia non c’è un consenso unanime. In particolare, la dottoressa Tarnya Cooper, della National Gallery, è convinta che l’opera raffiguri in realtà Sir Thomas Overbury, poeta e contemporaneo di Shakespeare.
In effetti, se confrontiamo il ritratto di Cobbe con quello di Sir Thomas Overbury i due soggetti si somigliano davvero molto, e lo stesso vale per la foto del marito di Anne Hathaway, Adam Shulman. Questo ci dimostra come, molto spesso, notiamo delle coincidenze soltanto perché ci piace vedere ciò che stiamo cercando.