Narcis Monturiol – Il sogno di esplorare gli abissi

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È giunta l’ora di esplorare gli abissi marini, quegli infiniti deserti, coperti da tempeste eterne che turbano l’immaginazione dell’uomo con terrori supremi; quelle profondità nascoste che l’ignoranza umana ha popolato di mostri senza nome; di gorghi feroci che divorano tutto ciò che incontrano con la loro furia autunnale, perfino le imbarcazioni di superficie. Ora è il momento che la ragione trionfi sulla paura e che la scienza conquisti una parte del mondo finora sconosciuta.

Il 20 marzo 1869, la rivista letteraria francese Magasin d’éducation et de récréation, pubblicò il primo episodio di uno dei romanzi d’avventura più famosi di sempre. L’autore era stato indeciso fino all’ultimo istante se intitolarlo Viaggio sott’acqua oppure Mille leghe sotto gli oceani, poi aveva optato per Ventimila leghe sotto i mari, l’opera che nell’immaginario collettivo ha anticipato l’invenzione del sottomarino e l’esplorazione degli abissi.

In realtà, rudimentali mezzi subacquei esistevano già, perfino uno di nome Nautilus, e il merito di Verne non sta nell’aver immaginato tecnologie futuristiche ma nell’aver saputo tessere abilmente realtà e fantasia, ipotizzando applicazioni strabilianti di principi scientifici e invenzioni esistenti. Infatti, le parole con cui si apre questa storia non sono di Jules Verne ma di Narcís Monturiol, un visionario laureato in legge di Barcellona che, dieci anni prima della pubblicazione di Ventimila leghe sotto i mari, era riuscito a coronare un sogno coltivato da molto, troppo tempo.

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Pesca al corallo

Pacifista, autore di pamphlet politici, e fervente sostenitore della creazione di comunità utopiche, la prima vita di Narcís Monturiol era stata quella di un giovane impegnato in politica. Nel 1846 fondò La madre de familia, rivista “dedicata alla difesa delle donne dalla tirannia maschile”, e La fraternidad, il primo giornale comunista spagnolo. Sebbene le sue idee non fossero radicali, nella Barcellona maschilista e conservatrice dell’epoca Monturiol era considerato un pericoloso rivoluzionario, tanto da essere condannato all’esilio. Poté tornare in Spagna soltanto dietro la promessa di non dedicarsi più alla politica, così Monturiol volse il suo sguardo al mare.

Nel XIX secolo, la pesca al corallo era una professione tanto remunerativa quanto pericolosa. I pescatori si immergevano in apnea fino a quindici, venti metri, e raccoglievano a mani nude quanto più corallo possibile nei pochi minuti in cui riuscivano a trattenere il fiato. Gli incidenti fatali erano frequenti, tuttavia, per molti quella era l’unica via per garantire un pasto alla propria famiglia.

Un giorno, passeggiando lungo la spiaggia di Cap de Creus, in Costa Brava, Monturiol si trovò di fronte a un gruppo di uomini radunati intorno a un compagno privo di sensi. Premendo ritmicamente, con tutte le loro forze, sui polmoni dell’uomo cercavano di fargli espellere quanta più acqua possibile. Mentre nel corpo del giovane si spegneva la vita, in Monturiol si riaccese la fiamma della lotta per i più deboli. Cosa avrebbe potuto fare per migliorare la condizione di quei lavoratori? Forse, poteva fornire loro uno strumento col quale immergersi in sicurezza.

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L’arte di navigare sotto il pelo dell’acqua

L’idea di uno strumento che consentisse all’uomo di operare sott’acqua non era nuova. Già nei suoi Problemi, Aristotele descrive una campana da immersione. Alessandro Magno viene spesso citato come il primo essere umano ad aver esplorato gli abissi marini, sebbene si tratti probabilmente soltanto di un mito. Leonardo Da Vinci, nel suo vasto repertorio di invenzioni, vanta l’idea di una macchina da guerra sottomarina. Nel 1620, l’inglese Cornelis Drebbel costruì un sottomarino a remi. Le descrizioni entusiastiche dell’epoca ne celebrano le eccezionali capacità militari ma, nella realtà, il mezzo, fatto di legno e cuoio, somigliava più a un grosso pallone da rugby che a un sommergibile ed era in grado soltanto di galleggiare a pelo d’acqua e di muoversi sul Tamigi, trascinato dalla corrente.

Alla fine del diciottesimo secolo, però, l’ingegnere americano Robert Fulton, celebre per l’invenzione della nave a vapore, progettò un sottomarino a propulsione mista il cui nome sarebbe diventato leggendario, Nautilus. Durante la navigazione in superficie, il Nautilus di Fulton poteva essere spinto dalla forza del vento, grazie a una vela; in immersione era il malcapitato timoniere a dover azionare l’elica con la sola forza delle sue braccia. Fulton, che da tempo lavorava in Francia, aveva equipaggiato il mezzo con una mina ed era convinto di aver inventato un’arma segreta destinata a rivoluzionare la marina di Napoleone. L’imperatore, del canto suo, non era della stessa idea. Invitato al porto di Le Havre per assistere a una dimostrazione del Nautilus, andò via con l’idea che Fulton fosse un ciarlatano. Ancor prima di immergersi, il Nautilus aveva iniziato ad imbarcare acqua. Come poteva un simile aggeggio essere considerato un’arma efficace se i primi ad andare al Creatore erano i suoi stessi utilizzatori? Morire sul campo di battaglia, dilaniati da una palla di cannone, quella sì, era una fine gloriosa, ma annegare in un barile di legno era indegno per un soldato dell’imperatore.

A fare la tragica fine immaginata da Napoleone per i marinai di Le Havre fu l’equipaggio del CSS Hunley, il primo sommergibile americano. Il 17 febbraio 1864, durante una delle ultime fasi della guerra di secessione, l’Hunley condusse un audace attacco contro una nave nemica da 1240 tonnellate, e l’affondò. Tuttavia, nemmeno il sommergibile ne uscì indenne e si inabissò, trascinando con sé tutti e otto i membri dell’equipaggio.

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Uno studio matto e disperatissimo

Quando Monturiol prese la decisione di costruire un sottomarino, non aveva nessuna esperienza militare, né come ingegnere. Pur avendo passato l’infanzia a osservare suo padre, bottaio, costruire fusti ermetici in legno tenuti insieme da fasce di rame, sapeva bene che un sottomarino, per quanto somigliasse a un grosso barile, non era esattamente la stessa cosa. Così, partì dalle basi. Studiò da autodidatta oceanografia, meteorologia, fisica, chimica, ingegneria navale. Imparò da zero come funziona e si costruisce un motore. E se a volte per lui, laureato in legge, queste nozioni erano così tante e nuove da mandarlo in confusione, una cosa Monturiol l’aveva ben chiara: la sua creatura non sarebbe stata un’arma, non avrebbe affondato nessuna nave, né sarebbe servita a potenziare la flotta militare di alcun paese. Nei suoi appunti, Monturiol menziona l’uso militare del sottomarino soltanto una volta, per precisare che non gli interessava. Anche gli esempi precedenti che analizza per non ripeterne gli errori, come la campana da immersione di Aristotele e i suoi successivi adattamenti, sono i pochi che non erano stati concepiti per uccidere nessuno.

Nella visione di Monturiol, il sottomarino avrebbe migliorato la condizione delle classi lavoratrici e di tutto il genere umano, permettendo la posa di cavi, la coltivazione di alghe, la pesca di profondità, facilitando le operazioni di soccorso in mare e aprendo la strada all’esplorazione scientifica degli abissi.

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Kraken, Leviatani e Sirene

Se ancora oggi gran parte del mondo sottomarino è inesplorato, nel diciannovesimo secolo di ciò che accadeva sotto la superficie dell’acqua si conosceva pochissimo. Nell’immaginario dei marinai, l’oceano era popolato da creature mostruose simili a quelle descritte nei bestiari medievali: kraken, leviatani, sirene. Un ambiente ostile, ricco di simbolismo, dove elementi naturali e soprannaturali si intrecciavano, e nel quale l’uomo era in grado di sopravvivere soltanto grazie a un mix di conoscenze scientifiche, abilità marinaresche, fortuna e perfino una dose di magia. In questo contesto, Monturiol immaginava sé stesso come un moderno Prometeo, destinato a rivelare all’uomo la conoscenza del mondo sottomarino.

Il sogno di Monturiol, però, si scontrò presto con la dura realtà. Come costruire un mezzo in grado di resistere alla pressione dell’acqua a grandi profondità? E come fornire all’equipaggio una riserva d’aria sufficiente? Inoltre, il confinamento di esseri umani in un ambiente chiuso per lunghi periodi avrebbe inevitabilmente favorito la proliferazione di animalillos (termine con cui alludeva ai microrganismi), umidità e malattie. E che dire poi dell’accumulo di quei gas mefitici dovuti alla cattiva digestione? Certo, avrebbe potuto installare un sistema di purificazione dell’aria, ma non si trattava soltanto di risolvere problemi tecnici. Occorrevano finanziamenti. E a trentasette anni, senza esperienze pregresse nel campo ingegneristico e con un passato da esiliato politico, Monturiol non era nella posizione ideale per attirare investitori. Tuttavia, si accontentò del poco che riuscì a racimolare.

Ictineo I – immagine: CC BY-SA 2.5

Ictineo

La mattina del 18 giugno 1859, nel porto di Barcellona, fece la sua comparsa uno strano natante in legno d’ulivo con fasce di rame e uno scafo a forma di sigaro, lungo sette metri e largo poco più di uno. A osservarlo, sembrava un incrocio tra una grossa botte di legno, un pesce e un siluro. Monturiol lo aveva chiamato Ictineo, una contrazione delle parole greche ichtus (pesce) e naus (nave). Non possedeva un motore a vapore ma era mosso da una semplice manovella. Poteva ospitare al massimo due persone, ma solo per brevi periodi, a causa della scarsa riserva d’ossigeno.

Mentre i curiosi si assiepavano attorno allo strano oggetto, la pinna dorsale dell’Ictineo scompariva lasciando un gorgoglio di bolle sopra di sé. Tuttavia, la struttura del sottomarino non era abbastanza robusta e si danneggiò dopo aver raggiunto appena venti metri di profondità. Per Monturiol, però, quella prima esperienza sottomarina fu quasi trascendentale, e si convinse di aver ormai trovato il segreto dell’esplorazione subacquea. Dopo le necessarie riparazioni, ogni domenica l’ingegnere tornava al porto per una nuova immersione, e a ogni collaudo aggiungeva un nuovo componente o risolveva un problema. Durante la settimana, cercava disperatamente di evitare che gli abissi dei debiti travolgessero lui, sua moglie e la loro bambina appena nata, che avevano chiamato Delfina. Servivano finanziamenti, a tutti i costi.

Guerra e pace

Chi avrebbe potuto essere più interessato a investire in un’imbarcazione così avveniristica se non la gloriosa flotta spagnola? Tuttavia, il ministro della marina, dopo aver ignorato per oltre un anno le richieste di Monturiol, di cui conosceva bene il burrascoso passato politico, rispose che un sottomarino non era affatto un’idea così originale. Ne erano stati sperimentati altri in passato ma, oltre a essere costati ingenti somme ai governi che li avevano finanziati, nessuno dei loro inventori era riuscito a dimostrare la validità di una loro applicazione reale. Così Monturiol decise di varcare un limite che non avrebbe mai immaginato di oltrepassare. Nelle sue nuove richieste, iniziò ad enfatizzare l’uso militare del sottomarino, pur sostenendo che il solo possesso di un’arma simile sarebbe stato un deterrente sufficiente a inaugurare un’era di pace perpetua. Ma proprio mentre sembrava che la regina di Spagna in persona mostrasse interesse per l’idea, un mercantile in manovra nel porto di Barcellona speronò l’Ictineo, consacrandolo ai fondali marini per sempre.

L’incidente non scoraggiò Monturiol ma, anzi, lo spronò a progettare un sottomarino addirittura migliore. Il problema economico, però, rimaneva e il governo spagnolo era tornato a tacere. Bisognava attrarre investitori privati. Ma come convincerli a rischiare il proprio denaro in un’impresa tanto utopica? La soluzione si presentò nelle sembianze dell’urbanista Ildefons Cerdà.

Eixample – immagine: public domain

Eixample

Cerdà era un vecchio amico di Monturiol. In gioventù ne aveva condiviso idee e utopie politiche, ma era stato attento a non esporsi più del dovuto. Di pensiero progressista, Cerdà era diventato membro del Partito Democratico, che promuoveva una riforma della costituzione e s’impegnava per le libertà civili.

All’inizio del XIX secolo, Barcellona era la città con la più alta densità abitativa d’Europa. La quasi totalità della popolazione viveva nel vecchio quartiere medievale, in case piccole, sovraffollate e malsane, ammassate in un intricato reticolo di vicoli angusti e bui.

Proprio negli anni in cui l’Ictineo affondava, il comune di Barcellona approvava un piano urbanistico destinato a trasformare completamente la città, rendendola un modello per molte altre capitali. Il nuovo quartiere centrale, progettato da Cerdà, si sarebbe chiamato Eixample e, in qualche modo, sarebbe stato il riflesso delle utopie che l’urbanista aveva condiviso con Monturiol in gioventù. Le nuove strade sarebbero state ampie, perpendicolari e parallele tra loro. Ogni isolato avrebbe misurato esattamente 133.3 metri. La popolazione sarebbe stata ripartita in abitazioni di uguali dimensioni, in modo che ogni blocco potesse ospitare un numero simile di persone. Nella nuova Barcellona immaginata da Cerdà, gli abitanti sarebbero stati liberi dall’oppressione del vecchio disegno urbano e avrebbero avuto pari opportunità abitative.

Ictineo II – immagine: CC BY-SA 3.0

Kickstarting the Ictineo

Se Barcellona stava diventando una città per il popolo, l’Ictineo sarebbe diventato “il sottomarino del popolo”. Il 2 Aprile 1862, Monturiol fece pubblicare sui principali quotidiani una Lettera alla Nazione in cui chiedeva un finanziamento collettivo per continuare la sua impresa.

Il progetto di Cerdà aveva infuso nei progressisti spagnoli una rinnovata fiducia nel futuro, immaginato come un’epoca di progresso e innovazione. Un futuro in cui l’uomo avrebbe viaggiato su mezzi di trasporto avveniristici e – perché no? – esplorato perfino gli abissi a bordo di un sottomarino. In questo clima, le risposte all’appello di Monturiol non tardarono ad arrivare: in poco più di un anno, l’ingegnere raccolse oltre 300.000 pesetas (equivalenti a 3,5 milioni di dollari odierni) e fondò una società battezzata La Navigaciòn Submarina.

Il 4 ottobre 1864, una folla si radunò attorno a una piattaforma di metallo nel porto di Barcellona per assistere al varo dell’Ictineo II. Rispetto al precedente, questo nuovo sottomarino era più grande, più manovrabile e in grado di raggiungere una profondità di 50 metri, grazie a miglioramenti nella tenuta stagna e nei sistemi di controllo della pressione. L’Ictineo II disponeva anche di un ingegnoso sistema di purificazione dell’aria. Sebbene la sua efficacia fosse limitata nel contrastare lo sviluppo di microrganismi e ridurre cattivi odori, la reazione chimica alla base del dispositivo consentiva ai marinai di disporre di una maggiore quantità di ossigeno durante le immersioni prolungate. Un’altra reazione chimica serviva ad alimentare una speciale lanterna subacquea, e un’altra ancora era usata per la propulsione, ormai affidata a un motore.

Il 20 maggio 1865, Monturiol e un equipaggio di 16 persone tennero a battesimo l’Ictineo II. Durante l’immarsione, l’ingegnere verificava l’integrità della struttura ogni cinque metri e, per prudenza, non superò la profondità di 17 metri. Nei test successivi, il sottomarino raggiunse i 50 metri e restò in immersione per ben sei ore. Il problema principale, però, rimaneva lo stesso: le risorse economiche erano di nuovo agli sgoccioli.

L’oblò in sala da bagno

In un ultimo disperato tentativo di attirare l’attenzione della marina spagnola, Monturiol installò sull’Ictineo II un cannone in grado di lanciare proiettili da 8 chilogrammi. Ancora una volta, l’ingegnere mentì a sé stesso, convincendosi che un sottomarino armato avrebbe garantito la pace universale. Ancora una volta, però, da governo non arrivò nessuna risposta.

Ormai prossimo al fallimento, Monturiol tentò un’ultima carta. In un inglese stentato scrisse al governo americano, reduce dal recente fallimento dell’Hunley, il proptotipo di sottomarino che, al costo della vita del suo intero equipaggio, aveva affondato una nave nemica. Gli Stati Uniti riconobbero che l’Ictineo II era tecnologicamente molto avanzato, ma ormai la guerra di secessione era finita e la marina non era più interessata a investire nello sviluppo di nuove armi.

Per Monturiol, svanì anche il sogno di donare all’umanità uno strumento per rivelare i segreti del mondo sottomarino. Gli investitori, prima interessati a un possibile sviluppo civile del mezzo, si resero conto di non potersi più permettere di finanziare un’impresa sostanzialmente a fondo perduto. Per ironia della sorte, il governo spagnolo, che fino a quel momento aveva ignorato il progetto, inviò all’ingegnere una richiesta di pagamento delle tasse arretrate per il possesso di una “nave”, dato che il sottomarino rientrava in quella categoria.

Monturiol fu costretto a vendere la La Navegación Submarina e a mettere in liquidazzione tutti i beni in possesso della società, compreso l’Ictineo II. Il motore del sottomarino finì ad azionare i telai meccanici di una fabbrica tessile, mentre i suoi oblò andarono a decorare il bagno di un ricco armatore.

Tuttavia, Monturiol non abbandonò mai del tutto la sua visione e dedicò gli ultimi anni della sua vita a terminare il suo Ensayo sobre el arte de navegar por debajo del agua (Saggio sull’arte di navigare sott’acqua), il primo manuale dedicato alla costruzione di sottomarini e alla navigazione subacquea, che fu pubblicato postumo. L’opera e il progetto di Monturiol furono riscoperti e rivalutati a partire dagli anni ’70 del secolo scorso e oggi l’ingegnere è celebrato come pioniere della tecnologia sottomarina e come importante pensatore progressista. Numerose, vie e scuole in Spagna portano il suo nome, così come un moderno sottomarino della flotta spagnola. Una replica dell’Ictineo II, è esposta al Moll d’Espanya, nell’area del Port Vell di Barcellona, .


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