E se la penicillina fosse nata in Italia? La storia di Vincenzo Tiberio

Immagine: Louis Bontemps – CC BY 4.0

Il National Geographic definisce la penicillina “la scoperta più fortuita o accidentale della storia”. Infatti, il biologo Alexander Fleming, padre riconosciuto degli antibiotici, stava studiando alcuni batteri nel suo laboratorio di Londra quando notò che una contaminazione involontaria di muffa del genere penicillum li aveva uccisi. Eppure il medico italiano Vincenzo Tiberio aveva avuto modo di osservare lo stesso fenomeno quasi quarant’anni prima.

Il figlio di un notaio

Fin dalla nascita, Vincenzo Tiberio aveva le carte in regola per farsi strada nel mondo. Figlio di un notaio e di una ricca borghese di Sepino, un piccolo comune nella provincia di Campobasso, Tiberio fu un liceale brillante e un talentuoso studente di medicina. Si laureò all’Università di Napoli con un anno di anticipo rispetto al piano di studi e, per la sua spiccata intelligenza, la carriera accademica sembrava la prosecuzione naturale del suo percorso. Diventato assistente ordinario all’Istituto di Patologia Medica Dimostrativa, Tiberio iniziò a dedicarsi a varie ricerche. Nel 1895, sulla rivista Annali d’Igiene sperimentale dell’Università di Roma, pubblicò uno studio intitolato Sugli estratti di alcune muffe. Il giovane medico aveva coltivato alcuni dei batteri più pericolosi e temuti dall’essere umano, l’antrace, il tifo, diversi stafilococchi e streptococchi, e li aveva messi in contatto con varie muffe, tra cui il penicillum glaucum, concludendo che: «le proprietà di queste muffe sono di forte ostacolo per la vita e la propagazione dei batteri patogeni».

A differenza dell’osservazione casuale di Fleming, quello di Tiberio fu un’obiettivo deliberato, raggiunto attraverso un ciclo metodico di esperimenti. Ripetè i test in vitro più volte e confermò i risultati anche in vivo, su cavie e conigli. Restava solo la sperimentazione sull’uomo. Tuttavia, con grande sorpresa della famiglia e dei colleghi, Tiberio abbandonò l’incarico accademico per diventare Aspirante Ufficiale Medico della Marina. Alla scelta contribuì sicuramente l’orgoglio patriottico – nei suoi diari sottolinea sempre quanto fosse fiero della divisa che indossava – ma anche il fatto, non meno importante, che lo stipendio da militare era il triplo di quello offerto dall’università.

Tiberio fu imbarcato sulla nave Sicilia, dapprima per Creta, poi per Zanzibar, e infine su una nave ospedale inviata in soccorso delle vittime del terremoto di Messina del 1908, la più grave catastrofe naturale mai registrata in Europa, con quasi centomila vittime. Anche in queste occasioni il medico seppe distinguersi, combattendo epidemie di malaria, occupandosi della potabilizzazione dell’acqua, fornendo assistenza a militari e civili, e guadagnando una menzione d’onore “per essersi segnalato in operosità, coraggio e filantropia”. Riuscì a rimettere piede in un laboratorio soltanto nel 1912, quando assunse la direzione del Gabinetto di Igiene e Batteriologia dell’Ospedale della Marina, a Napoli. Mentre si accingeva a riprendere le ricerche sulle muffe antibiotiche si accasciò seduto alla scrivania, colpito da infarto, il 7 gennaio 1915, all’età di 45 anni. Gli studi di Tiberio furono ritrovati soltanto nel 1947, due anni dopo il conferimento del Nobel a Fleming per la scoperta degli antibiotici. Oggi, una lapide sulla casa natale di Vincenzo Tiberio a Sepino lo ricorda “Primo nella scienza, postumo nella fama”.

Vincenzo Tiberio – immagine da wikipedia

Il posto giusto, il momento giusto

Ma avremmo davvero potuto scoprire la penicillina con trentacinque anni di anticipo grazie a questo brillante medico italiano? Forse. Così come forse avremmo potuto avere un mezzo volante con secoli di anticipo, se Leonardo Da Vinci avesse avuto i mezzi adatti a sviluppare i progetti avveniristici contenuti nei suoi appunti.

Nell’istituto universitario italiano dove lavorava, gli strumenti a disposizione di Tiberio erano molto meno avanzati di quelli utilizzati da Fleming a Londra qualche decennio più tardi. All’epoca, l’Italia stava affrontando il disastro economico causato dalla pesante sconfitta militare in Etiopia. La priorità erano le armi, e un medico era più utile sul campo che in un laboratorio. Inoltre, lo studio di Tiberio era stato pubblicato soltanto in italiano, da una rivista sconosciuta a livello internazionale. A dirla tutta, Tiberio non era nemmeno il primo ad essersi accorto delle proprietà antibiotiche di alcune muffe. I medici dell’antica Roma utilizzavano una sorta di poltiglia, probabilmente proprio a base di muffe, per medicare le ferite e proteggerle dalle infezioni. Rimedi simili erano in uso anche tra i Maya (che utilizzavano le muffe dei cereali) e nella medicina cinese. Nel 1896, il botanico e micologo francese Jean Paul Vuilelmin aveva utilizzato il termine antibiosis per descrivere l’azione di alcuni batteri o microrganismi che ostacolano la vita di altri. E, prima di Tiberio, il potere battericida del penicillum era stato osservato dal biologo australiano John Burton. Vincenzo Tiberio, però, ebbe il merito di essere stato il primo ad averlo testato attraverso un ciclo deliberato e completo di sperimentazione. Tuttavia, le sue ricerche rimasero nell’ombra.

Alexander Fleming – foto: © IMW – uso non commerciale

All’inizio, nemmeno il lavoro di Fleming ebbe il riconoscimento che meritava. Quando presentò la sua scoperta al Medical Research Club di Londra, lo scienziato fu accolto con freddezza. Erano gli anni dei sulfamidici, potenti farmaci antibatterici commercializzati dalla Bayer. Il potere antibiotico di una muffa, oltretutto scoperto per caso, non era poi di così grande interesse e venne messo da parte. Ma perché un’idea si trasformi in realtà a volte bisogna essere al posto giusto nel momento giusto. Gli studi di Fleming erano stati pubblicati in inglese e accessibili a ricercatori con grandi risorse a disposizione, come Howard Florey ed Ernst Boris Chain della Sir William Dunn School di Oxford. Nel 1936, i due scienziati ripresero le ricerche del collega e ne divulgarono i risultati su The Lancet, una delle riviste scientifiche più prestigiose del mondo. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e il proliferare delle infezioni sul campo di battaglia, era necessario un rimedio antibatterico più efficace dei sulfamidici, con meno effetti collaterali e, soprattutto,
con un potenziale di guadagno maggiore per le case farmaceutiche. Quel rimedio erano gli antibiotici.


Per approfondire:

  • Jules Brunel. “Antibiosis from Pasteur to Fleming.” Journal of the History of Medicine and Allied Sciences 6, no. 3 (1951).
  • Marcella Tamburello, Giovanni Villone. “Vincenzo Tiberio: la prima antibiotico-terapia sperimentale in vivo.” Journal of History of medicine 29, no. 2 (2017).