L'esecuzione di Nguyễn Văn Lém

esecuzione di saigon
Foto: Eddie Adams, © Associated Press, utilizzata secondo i principi del fair use.

Nell’istante in cui è stata scattata questa foto, l’uomo sulla destra è già morto. Un proiettile gli ha attraversato il cervello ma il fotografo ha catturato la scena prima che le gambe cedessero e il cadavere si accasciasse in una macchia di sangue. Gli occhi sono ancora aperti, la bocca contorta in una smorfia di disgusto, i capelli come sospinti da una debole brezza, in realtà sferzati dalla violenza della pallottola. Non riusciamo a vedere bene il volto del boia, ma qualcosa ci fa intuire la sua indifferenza. Il braccio, magrissimo, regge la pistola come se fosse un oggetto leggero, un giocattolo. Non sembra stringere in mano un’arma che ha appena sparato.

L’immagine fa parte di una sequenza di scatti che il fotografo dell’Associated Press Eddie Adams realizzò a Saigon il 1 febbraio 1968, durante l’offensiva del Tet. L’esecuzione a sangue freddo di un uomo in abiti civili da parte di un militare in divisa plasmò drasticamente l’opinione pubblica e alimentò ancor di più il movimento di protesta contro la guerra del Vietnam. Ma come affermò in seguito Adams: «Le fotografie sono l’arma più potente del mondo. La gente ci crede, ma le fotografie mentono, anche senza manipolazioni».

Tra il 29 e il 30 gennaio 1968, approfittando del caos per i festeggiamenti del Tet, il capodanno vietnamita, diverse migliaia di Viet Cong entrarono a Saigon uno a uno: a piedi, in bicicletta, in autobus, a bordo di camionette rubate. Di solito indossavano sandali comodi, adatti a correre nella foresta, ma per quell’occasione avevano comprato abiti puliti e sandali alla moda. Per riconoscersi tra loro, si erano legati un fiocco rosso al braccio sinistro. Un esercito invisibile e silenzioso con un fiocco rosso al braccio sinistro. Avevano recuperato le armi mentre scoppiavano fuochi d’artificio e petardi, per poi assaltare il palazzo del governo, la sede centrale della polizia, le caserme, le prigioni, la radio. Fallirono quasi ovunque. Molti di loro erano soltanto contadini, e una città e delle armi non le avevano mai viste. Ma c’erano anche gruppi addestrati.

L’uomo di destra nella foto, il morto, non è un civile. Si chiamava Nguyễn Văn Lém, un ufficiale Viet Cong conosciuto anche come Bảy Lốp. Era a capo di uno squadrone della morte che aveva il compito di occuparsi degli ufficiali vietnamiti e delle loro famiglie. Poco prima del suo arresto aveva tagliato la gola al tenente colonnello Nguyen Tuan, a sua moglie, ai suoi sei figli e alla madre ottantenne. Quando questa storia venne riportata dai media, parte dell’opinione pubblica americana si convinse che, in fondo, l’uomo in divisa non avesse fatto poi così male a premere il grilletto.

Nemmeno l’uomo in divisa è un soldato qualunque. Si tratta di Nguyễn Ngọc Loan, generale dell’esercito Sud Vietnamita e capo della Polizia Nazionale. Nel suo libro Niente e così sia, Oriana Fallaci lo descrive come l’uomo più brutto che avesse mai visto, amante delle rose e del pianoforte. Durante la guerra violò più volte la convenzione di Ginevra ma non fu mai perseguito. Anzi, il presidente Jimmy Carter intervenne personalmente in sua difesa, e la lettera di un lettore al New York Times, nel 1978, riassume bene il pensiero di parte dell’opinione pubblica americana a guerra finita. Loan, sosteneva il lettore, aveva agito sotto la protezione della legge marziale, quindi aveva tutto il diritto di fare quello che aveva fatto.

Anche Eddie Adams, che per la sua foto vinse il premio Pulitzer nel 1969, anni più tardi dichiarò che l’immagine ritrae la morte di due persone: il Viet Cong giustiziato e il generale Loan, un uomo ammirato dalla sua gente e dalle sue truppe. Certo, aveva commesso un errore, ma cosa avrebbe fatto un altro ufficiale se un nemico senza divisa avesse ucciso uno ad uno i suoi soldati?

Il generale Loan trascorse gli ultimi anni della sua vita a Burke, in Virginia, nei pressi di Washington, dove aveva aperto una pizzeria insieme alla moglie. Ma non tutti avevano dimenticato. Qualcuno scrisse nel bagno del suo locale: Sappiamo chi sei, str***o“.


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