Alcuni inventori sono diventati famosi per una sola, originale creazione. Altri invece sono stati straordinariamente prolifici. L’ingegnere spagnolo Leonardo Torres Y Quevedo appartiene a quest’ultima categoria. Nei suoi 84 anni di vita ideò il telekino, il primo radiocomando della storia, diversi dirigibili, numerose macchine capaci di eseguire calcoli aritmetici e un discreto numero di funivie. Ancora oggi la sua Aerocar, progettata nel 1916, galvanizza ogni giorno centinaia di turisti sorvolando le tumultuose cascate del Niagara. Qualsiasi congegno inventasse doveva essere il migliore nella sua categoria. E non per il desiderio di primeggiare ma perché Leonardo Torres Y Quevedo era fermamente convinto che solo così le macchine avrebbero potuto superare limiti fino ad allora impensabili.
Da tempo i dispositivi automatici avevano dimostrato di poter supplire ad alcuni compiti dell’essere umano, nelle officine, nelle fabbriche, in innumerevoli attività quotidiane. Ma oltre a eseguire funzioni ripetitive, avrebbero potuto un giorno le macchine prendere decisioni? L’ingegnere spagnolo pensava fosse arrivato il momento di rispondere a questa domanda. Nel 1912 Torres si dedicò a un progetto estremamente ambizioso per l’epoca: realizzare un congegno capace di giocare a scacchi, un gioco da sempre considerato sinonimo di intelligenza per via dell’enorme capacità di calcolo richiesta ai giocatori e alla necessità di adattare i propri piani in base alle mosse dell’avversario. Per una macchina, giocare a scacchi significava interagire alla pari con un essere umano.
Le potenzialità di un simile strumento le aveva intuite già due secoli prima l’ungherese Wolfgang Von Kempelen. Durante la sua carriera di funzionario pubblico si era appassionato alla meccanica e aveva costruito Il Turco: un automa dalle sembianze umane, abbigliato con un vistoso turbante e larghi pantaloni orientali. Il congegno aveva sbalordito le corti di tutta Europa, battendo a scacchi Napoleone Bonaparte, Benjamin Franklin e numerosi giocatori professionisti. Acquistato da un altro inventore, Johann Nepomuk Maelzel, Il Turco sbarcò in America dove alimentò un acceso dibattito sull’eventualità che un giorno l’uomo stesso potesse essere sostituito da una macchina pensante. Ma c’era anche chi nutriva dei dubbi. Edgar Allan Poe dedicò all’automa un saggio in cui esponeva le sue ragioni per credere si trattasse di un imbroglio. «Se fosse una vera macchina» sosteneva Poe «allora sarebbe la più straordinaria mai costruita dall’uomo». Ci vollero ancora diversi anni perché Il Turco Meccanico fosse definitivamente riconosciuto per quello che era: un trucco. A muovere il marchingegno era uno scacchista esperto nascosto all’interno del dispositivo.
La macchina di Torres, invece, non lasciava spazio a dubbi. Non aveva sembianze umane ma era un agglomerato di cavi, interruttori, relè e meccanismi tra i quali compariva una scacchiera. Non c’era posto per nascondere alcunché. Inoltre le sue capacità scacchistiche erano decisamente limitate. A dirla tutta, non sapeva nemmeno giocare un’intera partita.
El Ajadrecista (lo scacchista), così Torres aveva battezzato la sua creatura, fu presentato all’Esposizione Mondiale di Parigi del 1914 e giocava soltanto un finale di re e torre (mossi dalla macchina) contro un re (mosso da un essere umano). In pratica, l’essere umano non aveva nessuna possibilità di vincere. Ciò nonostante la macchina non riusciva mai a fare la mossa migliore né a chiudere il gioco entro le 50 mosse oltre le quali, secondo le regole degli scacchi, la partita era da considerarsi patta. Ma con un po’ di tempo e una buona dose di pazienza da parte dell’avversario, El Ajadrecista vinceva sempre.
Un simile dispositivo appare insignificante rispetto agli standard dell’intelligenza artificiale moderna, ma per la prima volta nella storia un congegno meccanico riusciva ad adattare le sue risposte all’interazione con un essere umano. Quando lo sfidante faceva una mossa non consentita, ad esempio muoveva il re di due caselle invece che di una, El Ajadrecista esprimeva le proprie rimostranze mediante l’accensione di un grosso bulbo luminoso. Quando metteva il re avversario sotto scacco lo sottolineava accendendo un altro bulbo. Mentre più lampadine accese contemporaneamente segnalavano lo scacco matto.
La seconda versione dell’Ajadrecista, costruita da Torres nel 1920, poteva perfino pronunciare le parole «check» (scacco) e «checkmate» (scacco matto) per mezzo di un fonografo. Al posto del braccio meccanico utilizzato in precedenza, i pezzi adesso venivano mossi per mezzo di magneti. In questo modo, la macchina sembrava animata da un’energia magica.
Nel 1951, Norbert Wiener, l’ingegnere americano considerato il padre della “cibernetica”, riconobbe pubblicamente davanti alla comunità scientifica il contributo di Torres agli studi sull’intelligenza artificiale e gli scacchi furono a lungo uno dei principali strumenti d’indagine in questo campo. Nello stesso anno, Alan Turing sviluppò un programma di scacchi, rimasto solo su carta, in grado di giocare un’intera partita. Nel 1996, il computer Deep Blue fu il primo della storia a battere un campione del mondo, Garri Kasparov. Oggi sui nostri smartphone possiamo installare software capaci di vincere una partita di scacchi contro qualunque essere umano.
Per approfondire:
«Torres and his Remarkable Automatic Devices». Scientific American Supplement n.2079 (6 novembre 1915).
Andrew Williams. History of Digital Games: Developments in Art, Design and Interaction. CRC Press, 2017.
Randell, Brian. «From Analytical Engine to Electronic Digital Computer: The Contributions of Ludgate, Torres, and Bush». IEEE Annals of the History of Computing 4, n. 4 (ottobre 1982): 327–41.
JJ Velasco. «Historia de la tecnología: El ajedrecista, el abuelo de Deep Blue». Hipertextual, 22 luglio 2011.
Ramón Jiménez. «Torres y Quevedo’s Rook Endgame Automaton». Chess News, 20 luglio 2004.