Di alcuni uomini ricordiamo le imprese compiute in vita, di altri soltanto la loro fine, soprattutto se tragica. Del danese Eiler Brockenhuus conosciamo anche ciò che fece per meritarsela.
Nato attorno al 1540, godette per buona parte della sua vita degli agi derivanti dalla sua condizione di nobile, un titolo che, nel suo caso, rispecchiava ben poco la definizione di “persona che possiede e dimostra elevatezza morale, delicatezza o generosità; fierezza di spirito e di intelletto”, fornita dal vocabolario Treccani. Piuttosto, era convinto – non del tutto a torto – che il maggior privilegio derivante dalla sua posizione fosse una certa “libertà di azione” o, per essere più precisi, di “impunità”, tanto che la sua biografia, più che come un susseguirsi di fatti, si presenta come una nutrita collezione di malefatte.
Iniziamo col dire che Brockenhuus ebbe relazioni con diverse donne prima del matrimonio, comportamento che, secondo le leggi danesi dell’epoca, costituiva un reato grave. Tra le sue amanti figura anche la vedova di suo cognato, relazione al tempo equiparata all’incesto. Ciò potrebbe far sembrare che ormai avesse oltrepassato ogni limite. Invece no. Brockenhuus maltrattò e violentò ripetutamente anche la propria sorella, dalla quale ebbe un figlio. In seguito uccise entrambi con le sue mani e – secondo alcune cronache – si macchiò anche dell’omicidio della madre.
Naturalmente, la sua scelleratezza non si limitava alla sfera privata. A pagarne le conseguenze peggiori erano i suoi sudditi, contro i quali esercitava ogni sorta di vessazione e angheria, come quando fece saltare in aria un povero spazzacamino al lavoro in uno dei suoi poderi, soltanto per la curiosità di sperimentare gli effetti della polvere da sparo. In un’altra occasione, Brocknhuus si finse morto per puro divertimento e, quando dietro al carro funebre si radunò un cospicuo numero di persone, saltò fuori dalla bara urlando e terrorizzando i presenti. Il coperchio della bara, però, si richiuse, e il perfido burlone fu seppellito vivo. O almeno, questo è quanto riporta una cronaca popolare, probabilmente scritta da qualcuno profondamente sconvolto dall’evento, alla ricerca di un modo per elaborare lo shock. Sfortunatamente per l’autore, le cose non andarono così, e Brockenhuus proseguì impunito nelle sue malefatte, almeno fino al momento in cui non si spinse a minacciare di morte il Re, Federico II di Danimarca, il quale non la prese affatto bene.
Eiler Brockenhuus, o “Iler il Pazzo” come ormai era soprannominato, fu rinchiuso nel castello di Dragsholm, dove una delle torri era stata adibita a prigione. Il castello era noto alle cronache per un evento singolare. Si racconta che durante una assedio, i difensori del maniero torturavano ogni giorno una pecora perché il suo belare straziante fosse scambiato dagli assalitori per l’uccisione dell’animale, facendo loro credere che i residenti disponessero ancora di cibo in abbondanza. Dopo che il castello fu trasformato in prigione, di straziante rimasero soltanto le urla dei prigionieri, condannati alla solitudine mentre nelle altre stanze si svolgevano balli e festini di caccia. Lamenti che non disturbavano affatto gli invitati, i quali potevano scambiarli per i versi di un animale nel cortile. E comunque, nulla che un brindisi o una fragorosa risata non potesse coprire.
Brockenhuus trascorse il resto della propria vita a scrivere lettere al re, promettendo, in cambio della libertà, di aver trovato il modo di aumentare le rendite della corona, o di aver inventato un’arma segreta infallibile. Suppliche che furono costantemente ignorate e Brockenhuus morì nella torre del castello di Dragsholm, come chiunque altro vi fosse stato rinchiuso.
Fatto curioso: mentre il nostro Eiler Brockenhuus scriveva al re dalla sua prigione, al di fuori del castello di Dragsholm, un altro Eiler Brockenhuus, suo omonimo, scriveva anch’egli. È grazie a quest’ultimo che oggi conosciamo alcuni dei fatti avvenuti nella contea all’epoca.