Il 7 agosto 1987, l’americana Lynne Cox coronò finalmente il suo sogno: raggiungere la Russia dagli Stati Uniti. Beh, si potrebbe obiettare, chiunque può farlo. Certo, ma non a nuoto e in meno di due ore. Indubbiamente la Cox aveva delle abilità straordinarie. Era una nuotatrice abituata alle grandi distanze e poteva resistere a temperature insopportabili per qualsiasi altro essere umano, una caratteristica indispensabile se ci si vuole ammollare nelle gelide acque dell’artico. Ma al successo dell’impresa contribuì anche il fatto che le due superpotenze, in realtà, sono meno distanti tra loro di quanto crediamo.
Isole Diomede
All’inizio del diciottesimo secolo, mentre navigava attraverso lo stretto a cui oggi abbiamo dato il suo nome, l’esploratore Vitus Bering s’imbatté in due isolotti rocciosi, distanti tra loro soltanto tre chilometri e settecento metri. Li battezzò Grande Diomede e Piccola Diomede, in onore del santo festeggiato il giorno in cui ne prese possesso per conto della Russia zarista. Naturalmente l’arcipelago era già conosciuto dagli eschimesi e probabilmente anche dagli europei ma, si sa, quando si mette piede su un pezzo di terra ancora senza nome, è facile sentirsi tentati dal desiderio di piantarci sopra una bandiera.
Dopo aver lasciato le isole Diomede, Bering proseguì il suo viaggio e colonizzò anche l’Alaska. La vita sull’arcipelago andò avanti come aveva sempre fatto per millenni: abitato da foche, uccelli marini, trichechi, e periodicamente dagli inuit che davano la caccia a questi animali.
Verso la fine del diciannovesimo secolo, però, accadde qualcosa di inaspettato. Chiunque avesse attraversato lo stretto braccio di mare compreso tra i due isolotti avrebbe potuto viaggiare nel tempo. Nel mese di ottobre del 1884, i rappresentanti di 41 nazioni si erano riuniti a Washington per accordarsi su un sistema comune con cui calcolare le coordinate terrestri e i fusi orari. Il meridiano zero sarebbe passato da Greenwich, la linea del cambio di data in mezzo alle isole Diomede. Da quel giorno, mentre su Diomede Grande sono le 19, tre chilometri e settecento metri più in là, gli abitanti del villaggio eschimese di Diomede Piccola hanno finito da poco di consumare la cena del giorno prima.
Ma i due isolotti non furono separati soltanto da una immaginaria linea del tempo. Nel 1867 lo zar Alessandro II aveva venduto l’Alaska agli Stati Uniti. Diomede Grande rimase territorio russo mentre Diomede Piccola entrò a far parte del 49° stato dell’Unione. Gli USA erano considerati una potenza meno ingombrante rispetto al Canada, allora parte dell’impero britannico, ma presto gli equilibri mondiali sarebbero cambiati.
Durante la guerra fredda, i tre chilometri e settecento metri che separavano le due grandi potenze mondiali divennero motivo di ulteriore tensione. Alle popolazioni native fu impedito di spostarsi da un’isola all’altra e sulle carte aeronautiche, in prossimità della zona, comparve un avvertimento: “Si prega di prendere ogni precauzione per tenersi lontani dallo spazio aereo russo”. Sconfinando con un velivolo, anche solo accidentalmente, si correva il rischio di essere abbattuti dopo pochi minuti. Se in Europa il confine con l’Unione Sovietica era chiamato cortina di ferro, il braccio di mare gelido tra le isole Diomede venne soprannominato la cortina di ghiaccio: una barriera che soltanto Lynne Cox avrebbe potuto squarciare.
La regina delle acque fredde
Il 14 agosto 1971 Lynne Cox era una quattordicenne “grassottella”, come si è sempre definita lei con autoironia. Eppure quel giorno nuotò per quaranta chilometri tra Los Angeles e l’Isola di Catalina. L’anno successivo stabilì il record di velocità nell’attraversare la Manica e quello dopo ancora ripeté l’impresa battendo il suo stesso primato. Ma soprattutto, Lynne Cox era particolarmente brava a nuotare nelle acque più fredde della terra. Una caratteristica unica, al punto che da più di trent’anni i ricercatori stanno studiando questa sua abilità, probabilmente resa possibile dall’insolito rapporto tra la quantità di grasso corporeo e la massa muscolare dell’atleta.
Nel 1975 Lynne Cox divenne la prima donna ad aver attraversato lo stretto di Cook, in Nuova Zelanda, un tratto di mare con una temperatura media di 10 gradi (quando ci tuffiamo d’estate, la temperatura del Mediterraneo è compresa tra i 23 e i 28 °C). Nel 1976 era stato il primo essere umano ad aver nuotato attraverso lo stretto di Magellano e ad aver doppiato a colpi di braccia il Capo di Buona Speranza. Lo stesso anno chiese l’autorizzazione di poter coprire i tre chilometri e settecento metri che separavano le isole Diomede ma non immaginava potesse rivelarsi una delle imprese più difficili della sua vita.
Come tutti gli americani dell’epoca, Lynne Cox era stata abituata fin da bambina ad avere paura dei russi. A scuola le esercitazioni anti incendio erano intervallate da istruzioni su come comportarsi in caso di attacco nucleare. Tuttavia la giovane nuotatrice era convinta che bisognasse lanciare un segnale: «Volevo aprire i confini», avrebbe dichiarato la Cox, «dimostrare che potevamo essere amici».
I vertici delle due superpotenze non la pensavano allo stesso modo. La Russia e gli Stati Uniti ignorarono le sue richieste per ben dieci anni. Quando finalmente nel 1986 riuscì a incontrare un addetto culturale all’ambasciata russa di San Francisco, come risultato ottenne soltanto una visita della CIA. Tuttavia si era smosso qualcosa.
Il 7 agosto 1987, la campionessa di nuoto Lynne Cox raggiunse piccola Diomede, negli Stati Uniti, s’immerse nell’acqua gelida e nuotò per due ore. Quando arrivò sulla spiaggia di Grande Diomede, in territorio Russo, fu accolta da un gruppo di agenti del KGB. Ma non erano lì per arrestarla. Avevano preparato per lei una piccola festa sulla spiaggia. Le due superpotenze le avevano finalmente accordato il permesso e l’atleta era riuscita a coronare il suo sogno. Quando nel 1988 Gorbaciov e Reagan si incontrarono a Washington, per firmare lo storico accordo sulle armi nucleari, alzarono i calici in onore della nuotatrice che, l’anno prima, aveva ricordato a tutti quanto i due paesi fossero vicini.
Il ponte sullo stretto
L’idea di un collegamento tra le due superpotenze, però, non è mai stata soltanto simbolica. Lo stretto di Bering è lungo circa 83 chilometri e le isole Diomede sono situate esattamente a metà. La realizzazione di un ponte transcontinentale tra America ed Eurasia ha popolato i sogni di numerosi ingegneri e uomini d’affari.
Nel 1905, l’anno in cui morì Jules Verne, un suo connazionale avanzò un’ipotesi degna di un romanzo dello scrittore francese. Dopo aver esplorato il Grande Nord, il barone Loicq de Lobel propose di connettere New York a Parigi tramite un tunnel ferroviario sottomarino nello stretto di Bering. Secondo lui la linea avrebbe favorito lo sviluppo economico dell’Alaska e delle aree attraversate dalla Trans-Siberiana. Di per sé il progetto non era irrealizzabile ma i costi e le difficoltà tecniche da superare sarebbero state enormi. L’opinione pubblica si divise tra chi sosteneva de Lobel, chi lo derideva pensando fosse pazzo e chi riteneva l’idea controproducente dal punto di vista strategico. Per due anni, il barone andò alla ricerca di finanziamenti e appoggi politici ma nel 1907 un quotidiano di San Pietroburgo titolava: “Lo zar non vuole il tunnel”, mettendo fine a ogni ulteriore sforzo da parte dello stravagante aristocratico.
Ciò nonostante, l’ipotesi di collegare via terra i due continenti non fu mai abbandonata. Nel 1958 l’ingegnere statunitense Tung-Yen Lin realizzò un altro progetto, finora tra i più completi: un ponte lungo 97 chilometri, costituito da diversi livelli su cui avrebbero potuto viaggiare automobili e treni allo stesso tempo, e che avrebbe connesso l’Alaska alla Russia in meno di un’ora. Recentemente anche la Cina si è detta interessata alla costruzione di un’opera simile, tuttavia le difficoltà non sarebbero poche. Un ponte sullo stretto di Bering dovrebbe affrontare un clima caratterizzato da venti fortissimi e resistere all’impatto di centinaia di iceberg ma potrebbe sfruttare la presenza delle isole Diomede per superare alcune difficoltà tecniche. Tuttavia l’attuale situazione geopolitica rende, ancora una volta, quei tre chilometri e settecento metri una distanza infinita.
Per approfondire:
James A. Oliver. The Bering Strait Crossing: A 21st Century Frontier between East and West. Information Architects, 2006.
Lynne Cox. Swimming to Antactica – Tales of a Lond-DIstance swimmer. Alfred A. Knopf, 2004.