Se si chiedesse a chiunque sia stato nell’ex Jugoslavia qual è un piatto tipico che ricorda del suo viaggio, probabilmente risponderebbe i ćevapi (o ćevapčići, come li chiamano in alcune zone). Li si trova ovunque, nei supermercati, nei ristoranti, sulle tavole delle famiglie, nelle grigliate all’aperto tra amici. A Belgrado si mangiano «na kajmaku», col kajmak, un composto spumoso dal sapore a metà tra il burro e un formaggio lievemente erborinato: salato, quasi acidulo, particolarmente aromatico e… molto grasso. Al contatto col calore della carne si scioglie e sprigiona tutto il suo gusto. Oltre che per condire i cevapi, il kajmak viene utilizato nella preparazione di dolci, come accompagnamento alla frutta glassata, a colazione e come contorno per i salumi.
C’è un motivo se non ne avete mai sentito parlare prima. Il kajmak è diffuso soltanto in alcune aree dei Balcani, del Medio Oriente e dell’Asia Centrale ed è difficile trovarlo al di fuori di questi paesi. La sua origine risale ad un’epoca in cui non esisteva la refrigerazione, e le famiglie contadine avevano la necessità di conservare il latte che non riuscivano a vendere o consumare. Così lo versavano su ampi dischi di rame e lo lasciavano evaporare a fuoco lento per ore, finché non restava un composto grasso e grumoso, il kajmak, che poi veniva riposto in recipienti di terracotta. In passato, c’era anche chi lo conservava in otri di pelle di pecora, una consuetudine che oggi forse sopravvive soltanto in qualche piccola fattoria familiare.
Per fare 5kg di kajmak sono necessari 50 litri di latte e una lavorazione lunga e paziente. Però, dopo averlo provato, capirete perché ne vale la pena.