In uno spiazzo melmoso nel centro di Amburgo, una piccola folla di bambini, giornalisti e curiosi si assiepa attorno a uno sgangherato carrozzone in legno brunastro davanti cui siede un vecchio dai folti baffi bianchi. Sulla porta della roulotte una scritta recita “Otto Witte, giostraio” ma tutti si rivolgono a lui chiamandolo “Maestà”. Perché l’uomo che hanno di fronte, abbigliato in divisa ottomana, con spalline dorate, lustrini e medaglie appuntate sul petto, per cinque giorni è stato Re d’Albania.
Otto Witte nasce il 16 ottobre 1861 a Dresdorf, nella Germania orientale, ma cresce coi nonni nella periferia di Berlino perché i suoi genitori sono sempre in movimento col loro circo itinerante. Anche Otto dimostra una vocazione per quel mondo e, ancora bambino, diventa acrobata e mangiafuoco. Da adolescente sbalordisce per le sue capacità di domatore di tigri e diverte il pubblico con clownerie e trucchi di magia. Non impara a leggere e scrivere ma ha una certa attitudine a predire il futuro. Quanto meno è molto bravo nel farlo credere e questa sua abilità, la menzogna, gli tornerà molto utile.
Avventure nel mondo
A ventiquattro anni, Otto Witte è ospite alla corte di Menelik II, imperatore d’Etiopia. Un semplice scambio di sguardi basta perché la figlia quattordicenne del negus si innamori di lui. Uno scambio di sguardi che costa molto al rubacuori tedesco. Nonostante tenti di fuggire assieme all’amata, i due vengono riacciuffati. Lei viene perdonata dal padre ma lui viene rinchiuso nelle prigioni di Addis Abeba e condannato a morte. Il giorno fissato per l’esecuzione, però, il boia va a prenderlo per condurlo al patibolo ma nella cella di lui non c’è traccia. Witte è già in Kenya a cacciare leoni, poi attraversa il Sahara con una carovana di beduini, raggiunge il Medio Oriente, si arruola nella legione straniera e parte per il Sud America.
Tornato in Europa, il giovane avventuriero sembra determinato a condurre una vita più tranquilla, o quasi. Durante un viaggio in Svizzera, stringe amicizia con un leader sovietico, Vladimir Lenin, a cui dispensa consigli politici. Ma il ruolo di consigliere gli viene subito a noia, lui è nato per l’avventura. Diventa sommozzatore nel Mediterraneo, si dedica a commerci di ogni tipo e viene catturato da briganti ottomani mentre attraversa i Balcani. Affascinato dalla loro cultura, appena ottiene la libertà si trasferisce a Istanbul. Di corporatura media, coi capelli scuri e i baffi folti, tutti lo scambiano per un turco. Forse è proprio questa caratteristica che lo aiuta a fare una carriera fulminea nei servizi segreti. In pochi mesi viene promosso ufficiale e inviato in missione a Sofia. È in questa città che Otto Witte si troverà tra le mani una foto che cambierà la sua vita per sempre. È un ritratto di Halim Eddine, nipote del sultano. Lui ed Eddine sono due gocce d’acqua.
Albania, finalmente
Dopo quattrocento anni di dominazione turca, nel 1912 l’Albania è indipendente ma si trova in una situazione di stallo, nell’attesa che venga formato un governo. Gli stati vicini non vedono l’ora di riempire quel vuoto. Serbi, greci, bulgari e gli stessi turchi inviano truppe e rappresentanti diplomatici. Otto Witte lascia in tutta fretta la Bulgaria e raggiunge Vienna, dove ritrova Max, un vecchio amico conosciuto nelle prigioni spagnole, quando entrambi scontavano una pena per truffa. I due inviano una serie di telegrammi falsi a Essad Pascià, comandante delle forze ottomane a Scutari, in cui annunciano che Halim Eddine, il nipote del sultano, sta per raggiungere l’Albania dove assumerà il comando delle truppe di stanza nell’area centrale del paese. “Anni fa sono apparso nel ruolo di un principe turco a teatro”, pensa Witte, “perché non posso esserlo anche nella vita?”.
Otto e Max noleggiano divise da ufficiali ottomani in un negozio di costumi teatrali, le decorano con medaglie, lustrini e ogni orpello degno di un principe e del suo assistente personale. Poi raggiungono Fiume e s’imbarcano su un piroscafo diretto a Durazzo. Sbarcati nel porto Albanese, però, i due vengono arrestati dai Serbi che controllano la città. Li hanno scambiati (ovviamente) per ufficiali ottomani. «Siamo soltanto teatranti», si giustificano loro, «venuti qui per uno spettacolo», e lo dimostrano esibendosi in trucchi di magia e acrobazie di ogni genere. I Serbi li trattengono giusto il tempo di farsi qualche risata e poi li lasciano andare. Ancora non immaginano quale sia il piano dei due furbacchioni.
Raggiunte le truppe ottomane nell’Albania centrale, Witte si fa riconoscere come Halim Eddine sulla base dei telegrammi falsi e incendia gli animi dei suoi soldati con un piano ambizioso: invadere Belgrado. La sua popolarità cresce anche tra gli Albanesi. Eddine incarna il sogno della neonata nazione di occupare un posto di rilievo sullo scacchiere internazionale. Inoltre, è musulmano, come la maggior parte di loro, e in molti credono sia l’uomo giusto per diventare primo Re dell’Albania indipendente.
Otto I, Re d’Albania
Così, nel febbraio 1913, il falso Halim Eddine viene incoronato col nome di Otto I, istituisce un governo e nomina ministro l’amico Max. Per festeggiare l’evento si organizzano sfilate e spettacoli con fuochi d’artificio. Al suo passaggio la gente lancia petali di rose dai balconi e Otto non disdegna nemmeno qualche visita all’harem di giovani donne che i turchi hanno approntato per lui. La notizia dell’incoronazione si diffonde velocemente in Europa e arriva anche in Turchia, alle orecchie del vero Eddine. Non passa molto tempo prima che il comandante Essad Pascià riceva un telegramma da Istanbul in cui si svela l’inganno. Witte cerca di prendere tempo, sostiene di essere vittima di una cospirazione ma ha già pronto un piano di fuga. Durante la notte, lui e Max arraffano quanto più possibile dal palazzo reale, si travestono da mendicanti e si imbarcano di nascosto su una nave diretta in Italia.
Ritorno a casa
Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, Otto Witte mette fine alla sua vita di giramondo. Torna a Berlino, alleva bestiame, possiede un frutteto e si dedica a commerci di ogni tipo. Chiama sua figlia “principessa Elfriede” e pretende di essere chiamato “Maestà”. Fonda perfino un partito politico e si candida alle elezioni presidenziali tedesche. Pur non essendo eletto, ottiene un discreto successo elettorale. Dopo quest’esperienza si trasferisce ad Amburgo e va a vivere in quello che chiama il suo “castello su ruote”, il suo carrozzone, dove viene ritrovato senza vita la mattina del 13 agosto 1958. Accanto al letto di morte, su un comodino, ha lasciato dei biglietti da visita con su scritto “Otto Witte, ex sovrano e pretendente al trono d’Albania”.
Pseudologia fantastica
La storia di Witte è incredibile al punto da essere stata ribattuta più volte dai giornali tedeschi per diversi decenni. Oggi è diventata virale su internet, è stata rappresentata a teatro e ha ispirato un romanzo. Ha soltanto un problema. In Albania nessuno conosce il nome di Otto Witte.
Chi ha cercato di ricostruire la vicenda dal punto di vista storico ci ha messo poco a capire che qualcosa non va. I nomi citati da Witte nei suoi racconti sono reali. Ma Essad Pascià non si è mai mosso da Scutari nei giorni in cui Witte sostiene di averlo incontrato. Non è segnalata la presenza di truppe turche nell’Albania centrale, nel periodo in cui Witte dice di averne preso il comando. Tra i membri della famiglia reale ottomana ci sono tre Halim Eddine ma nessuno di questi pare abbia mai avuto un ruolo in Albania o nei Balcani. Anche la storia di aver fondato un movimento politico con ampio consenso non regge. Non c’è traccia del partito di Witte nei documenti storici che riguardano le elezioni presidenziali a cui il giostraio si sarebbe candidato. E pur volendogli attribuire tutte le preferenze raccolte dai partiti minori a cui oggi non si riesce più a risalire, sarebbero una manciata di voti. In pratica, nel suo racconto, Witte mette insieme fatti reali ed elementi falsi, ma verosimili, per creare una sua verità; il modus operandi caratteristico di ogni buon truffatore.
L’unica fonte della rocambolesca vicenda del clown che diventò Re d’Albania è una sola: lo stesso Otto Witte. È lui a raccontare la storia in due volumi autobiografici pubblicati in Germania tra la fine degli gli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30. La storia venne ripresa ed enfatizzata dai giornali dell’epoca perché faceva presa sul popolo come rappresentazione simbolica della superiorità dell’intelletto tedesco. Dopo l’invasione Italiana dell’Albania, durante il Nazismo, i libri di Witte diventano introvabili. Che fosse reale o meno, la vicenda rischiava di ridicolizzare quello che ormai era a tutti gli effetti un territorio appartenente a un importante alleato del Reich.
Alla fine della seconda guerra mondiale, è di nuovo Witte a tirar fuori la storia, quando la racconta ogni giorno davanti al suo carrozzone. Ancora una volta, i giornali sono affascinati dalle avventure del loro connazionale e nessuno s’impegna a indagare più a fondo. Se gli avevano creduto molti anni prima, perché non credergli ancora?
Oggi Otto Witte è sepolto al cimitero di Ohlsdorf, ad Amburgo. L’iscrizione sulla sua tomba recita: “Otto Witte. 1878 – 1958. Ex Re D’Albania” ed è giusto che venga ricordato così perché, in fondo, Otto Witte non ha mai mentito con lo scopo di ingannare qualcuno o per un tornaconto economico. Secondo lo storico Michael Schmidt-Necke si tratta di un caso di pseudologia fantastica. Lui stesso era convinto di aver vissuto le esperienze di cui raccontava. Witte aveva bisogno di mentire prima di tutto a sé stesso, per accrescere la sua autostima e proteggersi dal giudizio degli altri. E in fondo, forse, anche perché il suo sogno è sempre stato quello di ogni giullare: sedersi, almeno per un giorno, sul trono del Re.
Per approfondire:
«ALBANIA: The Man Who Was King». Time, 25 agosto 1958.
«Beinahe Reichspräsident». Der Spiegel, 3 ottobre 1947.
«Berlins gekrönter König». Tagesspiegel, 19 febbraio 2013.
Michael Schmidt-Necke. Pseudologia phantastica und Orientalismus – Albanien als imaginäre Bühne für Spiridion Gopčević, Karl May und Otto Witte.