Ogni volta che termina una fiera o un’esposizione, dei padiglioni che l’hanno caratterizzata spesso resta soltanto un ricordo nostalgico impresso in qualche foto. Ci sono però alcune notevoli eccezioni. Quando fu costruita, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889, anche la Tour Eiffel avrebbe dovuto essere abbattuta, ma oggi è ancora lì ed è diventata il simbolo indiscusso della città. La stessa città che, trentacinque anni più tardi, l’architetto Le Corbusier avrebbe voluto radere al suolo.
Il 1925 fu l’anno di un’altra esposizione, quella delle Arti Decorative Moderne e Industriali, alla quale Le Corbusier presentò un suo padiglione, il Pavillon de L’Esprit Nouveau. Per molti era un insulto. La costruzione aveva l’aspetto di una scatola bianca, arredata da mobili di produzione industriale e attraversata da un albero che passava per un foro aperto nel solaio. Si diceva che fosse troppo essenziale e minimalista per essere ospitato a un evento nato per celebrare lo stile ricco e ricercato dell’Art-Deco. Ma c’era dell’altro.
Nonostante somigliasse a una villetta isolata, il Pavillon de l’Esprit Nouveau era il prototipo di un appartamento all’interno di un grande caseggiato. L’idea alla base del progetto era quella di bilanciare la qualità degli alloggi con l’alta densità di popolazione che avrebbe raggiunto la capitale francese in futuro. Un piano urbanistico denominato Plans Voisin che Le Corbusier avrebbe illustrato in un diorama allestito accanto al corpo principale del padiglione. Il nuovo impianto urbano della rive _gauche di Parigi, appena a nord degli Champs Elysées, sarebbe stato dominato da ampi spazi verdi, grattacieli cruciformi e un reticolato di strade perpendicolari tra loro. Buona parte degli edifici storici sarebbero stati abbattuti.
Non sorprende che ai francesi l’idea non piacesse affatto. Per boicottare il Pavillon de L’Esprit Nouveaufu dapprima addotta la scusa della mancanza di uno spazio adeguato a ospitarlo, ma viste le sue dimensioni ridotte la strategia non ebbe successo. All’architetto, però, fu assegnata un’area periferica e isolata dell’esposizione e, per nascondere il più possibile il padiglione ai visitatori, la costruzione fu recintata da un’alta palizzata. Stavolta fu Le Corbusier a non gradire. Poco tempo prima, una sua cara amica, la scrittrice Gertrude Stein, gli aveva presentato il ministro per l’educazione nazionale il quale intervenne personalmente per far restituire l’opera alla vista. Tuttavia la vittoria di Le Corbusier fu soltanto temporanea. Come si può immaginare, l’idea di Le Corbusier di riprogettare Parigi non fu mai realizzata e ad essere abbattuto fu soltanto il suo padiglione. Almeno fino al 1977.
Oggi chi vuole vedere il Pavillon de l’Esprit Nouveau non deve andare in Francia ma a Bologna. Nel 1965, gli architetti Giuliano e Glauco Ghisleri incontrarono José Oubrerie, uno dei collaboratori di Le Corbusier, e insieme a lui discussero della possibilità di ricostruire il padiglione nella città Emiliana. L’opera fu realizzata dodici anni dopo, di fronte all’ingresso della fiera di Bologna, poco lontano dalle torri che ospitano la sede della regione Emilia Romagna, progettate da un altro famoso architetto, il giapponese Kenzo Tange. Il nuovo Pavillon de l’Esprit Nouveau fu realizzato in soli tre mesi ed è fedele all’originale. Riproduce gli spazi dell’unità abitativa, incluso il grande albero che Le Corbusier aveva inglobato nel balcone-giardino, il mobilio e il diorama dove ancora oggi si può osservare una raffigurazione di quel piano urbanistico che fece così scalpore nel 1925.