4 ottobre 1957, un missile intercontinentale R-7, lanciato dal cosmodromo di Bajkonur, nell’Unione Sovietica, trasportò nello spazio un oggetto metallico poco più grande di un pallone da calcio. Si trattava dello Sputnik, il primo satellite artificiale della storia, una vera rivoluzione per l’epoca e, soprattutto, uno smacco per gli Stati Uniti, che incassavano così il primo duro colpo nella competizione per la conquista dello spazio e vedevano minacciata la loro supremazia militare.
Distruzione di massa
Nel 1945, i Boeing B-29 Superfortress Enola Gay e Bockscar avevano sganciato due bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Nel decennio successivo, gli americani avevano sperimentato le prime bombe termonucleari ad idrogeno, centinaia di volte più potenti delle precedenti. I Sovietici li seguivano passo dopo passo. Eppure, fino al 1957 erano rimasti indietro. La riuscita della missione Sputnik rappresentava per loro una doppia vittoria. Avevano battuto i rivali sul tempo nella conquista dello spazio e dimostrato di possedere missili balistici potenzialmente in grado di trasportare un ordigno nucleare e di raggiungere non soltanto qualunque area del globo, ma di andare anche oltre. Tuttavia, pochi mesi più tardi, i generali americani della US Air Force, avevano già un piano top secret e un tantinello azzardato per ristabilire la supremazia del proprio paese. Bastava semplicemente far esplodere una bomba atomica sulla Luna.
In fondo è solo la Luna
Il nome del progetto suonava in modo decisamente innocuo, Project A119 – A Study of Lunar Research Flights. Nel fascicolo si menzionava l’utilità della detonazione come mezzo per studiare la composizione del suolo lunare ed eseguire misurazioni sismiche. Il vero scopo del progetto, però, era quello di lanciare un segnale di superiorità ai russi. Il fisico americano Leonard Reiffel, incaricato di studiare la fattibilità del progetto, ricorda che quando fu convocato per la prima volta al quartier generale dell’Air Force, gli ufficiali al comando erano interessati unicamente a capire se con la tecnologia a loro disposizione si era in grado di provocare un fungo atomico così grande da risultare visibile dalla terra a occhio nudo.
Oltre a Reiffel, nel Project A119 erano coinvolti diversi altri scienziati tra cui un giovanissimo Carl Sagan, all’epoca neo laureato e assunto per le sue abilità matematiche. Il punto in cui sarebbe avvenuta la detonazione doveva essere calcolato in modo estremamente preciso, con uno scarto di pochi metri. A causa della distanza e delle dimensioni del nostro satellite, anche un evento come lo scoppio di una bomba atomica correva il rischio di passare inosservato, tanto più se questa fosse avvenuta sulla faccia illuminata della Luna. Allo stesso tempo, se la bomba fosse esplosa nella zona d’ombra, l’evento sarebbe stato visibile soltanto per il breve istante del bagliore dell’esplosione. L’ordigno andava diretto esattamente nella zona al confine tra luce e ombra, dove sarebbero stati visibili dalla Terra sia il bagliore, sia il fungo atomico. Per i sovietici, sarebbe stato un fortissimo contraccolpo morale.
Con lo sguardo all’insù
Nonostante fosse ritenuta fattibile, l’idea fu abbandonata per varie ragioni. Alcuni funzionari governativi erano preoccupati della reazione dell’opinione pubblica, altri dei potenziali problemi di sicurezza. Se il lancio fosse fallito, l’ordigno sarebbe potuto esplodere sulla Terra. Gli scienziati responsabili del progetto, invece, temevano che una deflagrazione atomica avrebbe potuto contaminare l’ambiente lunare al punto da compromettere ogni futuro progetto di ricerca ed esplorazione.
Tuttavia, tra loro c’era anche chi la pensava diversamente e tra questi Carl Sagan, convinto che l’esperimento avrebbe effettivamente potuto fornire dati rilevanti sulla composizione del nostro satellite. Un’idea ripresa anni più tardi da Gary Latham, uno dei ricercatori che avevano lavorato alla missione Apollo. Lo scienziato, senza essere a conoscenza del progetto top secret di qualche anno prima, aveva proposto di far esplodere un ordigno nucleare a basso potenziale sulla Luna per studiarne la composizione e raccogliere dati sismici.
Ritenuto per molto tempo un mito o un’idea fantascientifica, il progetto A119 fu desecretato nel 2000. Quando ne venne a conoscenza, lo studioso britannico David Lowry, esperto di storia del nucleare affermò:
“È semplicemente osceno pensare che il primo contatto che gli esseri umani avrebbero avuto con un altro mondo sarebbe stato quello di far esplodere una bomba nucleare”.
Fortunatamente gli Stati Uniti decisero di concentrarsi su viaggi di esplorazione spaziali. Il 20 luglio 1969, il mondo intero rivolse lo sguardo all’insù, verso la Luna; uno sguardo pieno di speranza per il futuro e non inorridito dalla barbarica ostentazione della nostra capacità distruttiva.